4ª edizione della Giornata di studio su migranti e rifugiati: "storie, volti, speranze"
Narrare le migrazioni: storie, volti, speranze - Mercoledì 15 febbraio 2023 si è svolta la quarta edizione della Giornata su La Comunicazione su migranti e rifugiati tra solidarietà e paura, promossa dall’Associazione ISCOM e dalla Facoltà di Comunicazione, insieme al Comitato “Informazione, migranti e rifugiati”.
La Giornata ha visto la partecipazione di oltre 100 persone tra giornalisti, operatori della comunicazione di organizzazioni impegnate sul tema, responsabili di istituzioni ecclesiali ed educative. Poco meno di 10 anni fa il primo viaggio del pontificato di Francesco a Lampedusa, 10 anni più tardi o giù di lì l'invasione russa dell’Ucraina. Questi due fatti, su tutti, hanno contribuito a cambiare la percezione del fenomeno migratorio e soprattutto il modo di raccontarlo specie dal punto di vista giornalistico. 10 anni fa la stampa di tutto il mondo si radunava nel cuore del Mediterraneo per ascoltare la denuncia di Francesco sulla "globalizzazione dell’indifferenza”. Oggi, la nuova crisi umanitaria prodotta dal conflitto in Ucraina – che si protrae da un anno - condiziona la lettura politica e la stessa rappresentazione giornalistica, al punto da incidere sulle scelte di fondo, ad esempio in tema di accoglienza con l'applicazione di un nuovo eccezionale diritto d’asilo. Rimane poi da valutare l’impatto della immane tragedia del terremoto in Siria e in Turchia. Descrivere la complessità della realtà delle migrazioni e aiutare a comprendere le interdipendenze e le dinamiche necessariamente internazionali del fenomeno: è l'impegno e la sfida di un racconto giornalistico che voglia essere davvero rispettoso anzitutto della dignità delle persone coinvolte e contemporaneamente della verità sostanziale dei fatti, cui ci richiama la legge istitutiva dell’Ordine dei giornalisti dell’Italia che proprio in questi giorni compie 60 anni.
Arrivano da Paesi vicini, fuggono da guerre che angosciano anche noi. A loro, agli immigrati, ci siamo in qualche modo abituati. Li consideriamo soprattutto per la loro utilità, al di là dei rischi che comportano e delle paure che suscitano. Chi prima ne faceva un uso strumentale a fini elettorali o di propaganda, ora deve ricorrere ad altri argomenti e inventare nuovi spauracchi. Gli immigrati non più come “altri da noi” ma “altri tra noi”, da “integrare”. Le crisi umanitarie, insieme allo sciacallaggio, accendono la pietà e risvegliano la solidarietà dei popoli che nelle disgrazie danno il meglio di sé.
«I rifugiati siano protagonisti della loro stessa rappresentazione, affinché possano parlare con autorità, intenti politici e voce collettiva. E partecipare al processo decisionale». Cosi Chiara Cardoletti, Rappresentante UNHCR per l’Italia, la Santa Sede e San Marino, ha aperto i lavori della Giornata, sottolineando come l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati «lavora da 10 anni per sostenere un giornalismo etico, per far sì che i temi dell’immigrazione e dell’asilo siano materia di formazione e di aggiornamento professionale. L’informazione su richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti deve fare leva su un utilizzo corretto del linguaggio e su un’adeguata salvaguardia di tutti coloro che hanno richiesto e ottenuto protezione, senza ledere il diritto all’informazione».
Il fenomeno dei migranti è stato uno dei terreni sui quali il giornalismo italiano ha saputo, almeno in parte, correggere la propria impostazione. Sulla base di questa premessa Vittorio Roidi, maestro di giornalismo e docente di etica e di deontologia professionale, ha osservato come «gli uomini e le donne che morivano nelle acque del Mediterraneo nel disperato tentativo di sfuggire ad un destino di povertà e di disperazione hanno rappresentato una delle grandi questioni dell’ultima parte del secolo scorso. Abbiamo capito che non potevamo trattarli come numeri, ma che erano protagonisti di uno dei drammi più sconvolgenti del nostro tempo. Ed abbiamo cercato di cambiare il linguaggio, di dare una dimensione più umana, meno superficiale ai nostri racconti». La Carta di Roma, il documento deontologico adottato dai giornalisti italiani in materia di Informazione e migranti, è stato il primo risultato concreto di questa riflessione, «anche se – secondo Roidi - i risultati di quel lavoro forse non sono quelli che desideravamo».
Il cardinale Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo Metropolita di Siena e componente commissione Migranti della Conferenza Episcopale Italiana, ha indicato le parole di Papa Francesco – “I migranti non basta accoglierli: vanno anche accompagnati, promossi e integrati” – come traccia chiara «anche per potere narrare le migrazioni in maniera corretta e lontana da ogni forma di pietismo e di strumentalizzazione. Il loro lavoro, la loro capacità di sacrificio, la loro giovinezza e il loro entusiasmo arricchiscono le comunità che li accolgono. Ma questo contributo potrebbe essere assai più grande se valorizzato e sostenuto attraverso programmi mirati».
Su Il fenomeno migratorio secondo i dati statistici, ha riflettuto Gian Carlo Blangiardo, presidente ISTAT, facendo riferimento alla crescita rilevata in Italia negli ultimi decenni: «Si è passati dalle poche centinaia di migliaia di unità negli anni Ottanta agli oltre 5 milioni nell’ultima conta censuaria del 2021, per cui la popolazione straniera ha vissuto importanti trasformazioni, sia nei flussi di ingresso che nella struttura delle presenze: da lavoratori a famiglie, da stranieri a cittadini». Tra gli effetti positivi, la accertata funzionalità nel mercato del lavoro e il significativo, seppur non risolutivo, apporto sul fronte della natalità. «Un contributo allo sviluppo del nostro Paese – a giudizio di Blangiardo - che deve trovare valorizzazione entro adeguate iniziative di governo, nella piena consapevolezza di un panorama demografico mondiale che vede la crescita della popolazione del tutto concentrata nei Paesi più poveri».
Nel corso del primo panel - La guerra in Ucraina e i conflitti nel mondo: gli effetti sul fenomeno migratorio -, si sono confrontati, con la moderazione a cura di padre Aldo Skoda (Pontificia Università Urbaniana), Matteo Villa (ISPI), Valentina Petrini (Il Fatto Quotidiano) e Irene Savio (El Periodico). Quest’ultima si è soffermata, in particolare, sugli effetti dell’offensiva militare della Russia in Ucraina, che ha provocato «la fuga di 8 milioni di persone, oltre a 5,4 milioni di sfollati interni, secondo dati delle Nazioni Unite. Molti si trovano costretti per la seconda o terza volta a fuggire dalle loro case, lasciare tutto e andare a vivere in un luogo nuovo». Sulla risposta senza precedenti dei Paesi dell’Unione Europea, l’analista de El Periodico ha riconosciuto «l’adozione di politiche a favore dei rifugiati assai diverse rispetto a quelle in uso in altre zone del mondo, così come sono stati messi in campo diversi programmi per aiutare la popolazione ucraina nonché per snellite le pratiche burocratiche ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato. E tuttavia circa 5 milioni di ucraini hanno deciso di tornare a casa in questi mesi». Sul tema della propaganda e della manipolazione in tempo di guerra, ha dedicato la sua riflessione Petrini: «Oggi tenere all’oscuro la propria popolazione su quanto sta realmente accadendo in Ucraina è una priorità per Putin. Fomentare il malcontento europeo nei confronti dei profughi di guerra ucrani è stata una delle prime strategie manipolatorie intraprese, attraverso la disinformazione: macchine che si riciclano sul tema del momento e che hanno in comune la vittima, in questo caso i migranti, profughi e il macro obiettivo della destabilizzazione di entità come ad esempio l’Unione Europea. Putin non è nuovo a questo tipo di operazioni. Da anni cerca di corrompere le democrazie occidentali, finanziando movimenti nazionalisti, elargendo soldi a partiti no euro, provando a inquinare elezioni e dibattito politico».
Tra i migranti forzati, persone costrette dalle guerre di abbandonare le proprie case, due su tre rimangono sfollati nel Paese d’origine. «Dell’ultimo terzo che lascia il Paese - ha osservato Matteo Villa - la stragrande maggioranza rimane nei Paesi limitrofi, nella speranza di poter presto o tardi tornare a casa».
Certo, l’aumento nel mondo delle crisi protratte, rende più probabile che chi ha lasciato il Paese poi compia una seconda migrazione verso luoghi più lontani. «Nel caso dei profughi ucraini (le parole sono importanti: profughi, non rifugiati, perché protetti in maniera temporanea e non permanente), le proporzioni non sono le stesse perché l’Europa si è attivata per accogliere gli ucraini in misura senza precedenti, e consentendo loro addirittura di scegliere il Paese di destinazione all’interno dell’UE. Ma il rischio per loro - a parere del ricercatore ISPI - è che questo tipo di accoglienza “a scadenza” finisca, e che le opinioni di società e governi europei cambino di segno. Dobbiamo lavorare per raccontare queste migrazioni forzate, soprattutto per sottolinearne i successi, che ci sono: in alcuni Paesi europei, fino al 40% dei profughi ucraini ha già trovato un lavoro».
Integrazione oppure inclusione: la sfida dell’accoglienza. Questo il titolo della seconda sessione, moderata dal notaio Vincenzo Lino e aperta dall’intervento di Ida Caracciolo (Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli), con la fondamentale e netta distinzione che il diritto internazionale opera tra lo status di rifugiato e quello di migrante. «Mentre la sovranità degli Stati – ha precisato Caracciolo - conosce limiti importanti e consolidati rispetto all’accoglienza e integrazione/inclusione dei rifugiati, il trattamento dei migranti è ancora largamente rimesso alle scelte discrezionali degli Stati. Solo il corpus juris generale dei diritti dell’uomo (i due Patti delle Nazioni Unite del 1966 sui diritti civili e politici e sui diritti economici e sociali, Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000) trova applicazione ad entrambe le categorie, essendo focalizzato sull’individuo in quanto tale».
Sulla preziosa attività del Centro Astalli Donatella Parisi, che ne è la responsabile Comunicazione, ha richiamato l’attenzione sulla gradualità e la complessità del processo di integrazione dei richiedenti asilo e rifugiati. «Un processo – a suo dire - che investe diversi ambiti: economico, legale, sociale, culturale. Per questo il Centro Astalli realizza progetti di accompagnamento sociale e sensibilizzazione culturale. Fin dal primo giorno di accoglienza si lavora con i rifugiati per migliorare le loro opportunità di inclusione e per combattere razzismo e xenofobia. Un percorso che richiede tempo impegno, creatività e visione».
I migranti, con la loro domanda di integrazione, sono nel cuore della Comunità di Sant’Egidio sin da quando, alla fine degli anni Settanta, hanno cominciato ad essere una presenza significativa nella società italiana. Negli anni l'impegno per l'accoglienza e l'integrazione è cresciuto, in Italia e nel mondo. Sono nate le Scuole di lingua e cultura. Con i corridoi umanitari si è creata una via legale e sicura di immigrazione. Massimiliano Signifredi (ufficio stampa Comunità di Sant’Egidio) ne ha evidenziato alcuni tratti peculiari: «Grazie alla collaborazione con le Chiese protestanti italiane e con la CEI il progetto dei corridoi umanitari, basato interamente sulla società civile e replicato anche in Francia e Belgio, ha già permesso a oltre seimila rifugiati vulnerabili di raggiungere l’Europa in sicurezza, divenendo un modello di integrazione. Chi è stato accolto ha imparato subito la lingua e ha trovato un lavoro. I corridoi umanitari hanno inaugurato una narrazione diversa dell’immigrazione, sottraendo questo fenomeno epocale alla strumentalizzazione e alla paura».
Raffaele Iaria (Fondazione Migrantes) ha coordinato il dibattito conclusivo - La cura delle parole e il rispetto delle persone: la deontologia di chi fa informazione -, animato dalla testimonianza di alcune giornaliste da anni impegnate nel racconto del fenomeno migratorio.
«Continuiamo a preoccuparci delle conseguenze dei flussi mentre è in atto una costante spersonalizzazione del migrante», ha ammonito Angela Caponnetto (RAI) chiamando in causa «i governi europei sempre più spaccati sul tema, 8 Stati membri sono arrivati a chiedere di rivedere il diritto d’asilo, considerato un push factor per chi tenta di arrivare in Europa sperando in una vita migliore, con il rischio di chiudersi sempre più in una “fortezza”. In questo contesto la funzione del reporter è fondamentale per dare forma a migliaia di vite umane che rischiano di restare solo ombre senza anima».
Anna Meli (Associazione Carta di Roma) ha evocato le parole di Valerio Cataldi (presidente dell’Associazione), per il quale «in questi dieci anni si è consolidata la ‘macchina della paura’, che inizia in primavera con l’allarme di ‘un milione di persone pronte a partire dalle coste della Libia’ e prosegue con la conta degli arrivi nei porti italiani. Una dinamica ansiogena, uno stillicidio di numeri che suscita ansia e produce paura. Là dove la realtà, la vita vera, la verità sostanziale dei fatti sono un’altra cosa».
“Emergenza”, “accoglienza indiscriminata”, “invasione”. Quali termini usiamo per parlare di immigrazione? Quanto le parole che scegliamo sono aderenti alla realtà? Siamo in grado di contestualizzare davvero i fenomeni migratori che interessano il nostro Paese e l’Europa? Sono gli interrogativi che Eleonora Camilli ha proposto in conclusione della Giornata. Per la giornalista del Redattore sociale, «abbiamo a che fare con la narrazione spesso distorta dell’immigrazione. E sul doppio standard di protezione, accoglienza e narrazione tra i flussi migratori diversi: in particolare tra gli arrivi dal Mediterraneo o dalla rotta balcanica e il flusso straordinario di rifugiati dall’Ucraina».
Antonino Piccione
La giornata in pillole
I rifugiati siano protagonisti della loro stessa rappresentazione, affinché possano parlare con autorità, intenti politici e voce collettiva. E partecipare al processo decisionale. L’UNHCR lavora da 10 anni con l’Associazione Carta di Roma per sostenere un giornalismo etico, per far sì che i temi dell’immigrazione e dell’asilo siano materia di formazione e di aggiornamento professionale. L’informazione su richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti deve fare leva su un utilizzo corretto del linguaggio e su un’adeguata salvaguardia di tutti coloro che hanno richiesto e ottenuto protezione in Italia, senza ledere il diritto all’informazione. Chiara Cardoletti
Il fenomeno dei migranti è stato uno dei terreni sui quali il giornalismo italiano ha saputo, almeno in parte, correggere la propria impostazione. Gli uomini e le donne che morivano nelle acque del Mediterraneo nel disperato tentativo di sfuggire ad un destino di povertà e di disperazione hanno rappresentato una delle grandi questioni dell’ultima parte del secolo scorso. Abbiamo capito che non potevamo trattarli come numeri, ma che erano protagonisti di uno dei drammi più sconvolgenti del nostro tempo. Ed abbiamo cercato di cambiare il linguaggio, di dare una dimensione più umana e meno superficiale ai nostri racconti. La Carta di Roma è stato il primo risultato concreto di questa riflessione, anche se i risultati di quel lavoro forse non sono quelli che desideravamo. Vittorio Roidi
“I migranti non basta accoglierli: vanno anche accompagnati, promossi e integrati”. Sono le parole di Papa Francesco e sono un’indicazione chiara anche per potere “narrare le migrazioni” in maniera corretta e lontana da ogni forma di pietismo e di strumentalizzazione. Il loro lavoro, la loro capacità di sacrificio, la loro giovinezza e il loro entusiasmo arricchiscono le comunità che li accolgono. Ma questo contributo potrebbe essere assai più grande se valorizzato e sostenuto attraverso programmi mirati. Augusto Paolo Lojudice
Passando dalle poche centinaia di migliaia di unità negli anni ‘80 agli oltre 5 milioni nell’ultima conta censuaria del 2021, la popolazione straniera in Italia ha vissuto importanti trasformazioni, sia nei flussi di ingresso che nella struttura delle presenze: da lavoratori a famiglie, da stranieri a cittadini. La accertata funzionalità nel mercato del lavoro e il significativo, seppur non risolutivo, apporto sul fronte della natalità, fanno dell’immigrazione una risorsa. Un contributo allo sviluppo del nostro Paese che deve trovare valorizzazione entro adeguate iniziative di governo, nella piena consapevolezza di un panorama demografico mondiale che vede la crescita della popolazione del tutto concentrata nei Paesi più poveri. Gian Carlo Blangiardo
L’offensiva militare della Russia in Ucraina ha provocato la fuga di 8 milioni di persone, oltre a 5,4 milioni di sfollati interni, secondo dati delle Nazioni Unite. Molti si trovano costretti per la seconda o terza volta a fuggire dalle loro case, lasciare tutto e andare a vivere in un luogo nuovo. Sulla risposta senza precedenti dei Paesi dell’Unione Europea, va sottolineata l’adozione di politiche a favore dei rifugiati assai diverse rispetto a quelle in uso in altre zone del mondo, così come sono stati messi in campo diversi programmi per aiutare la popolazione ucraina nonché per snellire le pratiche burocratiche ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato. Tuttavia circa 5 milioni di ucraini hanno deciso di tornare a casa in questi mesi. Irene Savio
Le guerre si vincono anche con la propaganda e sulla pelle di popolazioni e minoranze. Oggi tenere all’oscuro la propria popolazione su quanto sta realmente accadendo in Ucraina è una priorità per Putin. Fomentare il malcontento europeo nei confronti dei profughi di guerra ucraini è stata una delle prime strategie manipolatorie intraprese, attraverso la disinformazione: macchine che si riciclano sul tema del momento e che hanno in comune la vittima, in questo caso i migranti, profughi e il macro obiettivo della destabilizzazione di entità come ad esempio l’Unione Europea. Putin non è nuovo a questo tipo di operazioni. Da anni cerca di corrompere le democrazie occidentali, finanziando movimenti nazionalisti, elargendo soldi a partiti no euro, provando a inquinare elezioni e dibattito politico. Valentina Petrini
Tra i migranti forzati, persone costrette dalle guerre ad abbandonare le proprie case, due su tre rimangono sfollati nel Paese d’origine. Dell’ultimo terzo che lascia il Paese la stragrande maggioranza rimane nei Paesi limitrofi, nella speranza di poter presto o tardi tornare a casa. Certo, l’aumento nel mondo delle crisi protratte, rende più probabile che chi ha lasciato il Paese poi compia una seconda migrazione verso luoghi più lontani. Nel caso dei profughi ucraini (le parole sono importanti: profughi, non rifugiati, perché protetti in maniera temporanea e non permanente), le proporzioni non sono le stesse perché l’Europa si è attivata per accogliere gli ucraini in misura senza precedenti, e consentendo loro addirittura di scegliere il Paese di destinazione all’interno dell’UE. Ma il rischio per loro è che questo tipo di accoglienza “a scadenza” finisca, e che le opinioni di società e governi europei cambino di segno. Dobbiamo lavorare per raccontare queste migrazioni forzate, soprattutto per sottolinearne i successi, che ci sono: in alcuni Paesi europei, fino al 40% dei profughi ucraini ha già trovato un lavoro. Matteo Villa
Il diritto internazionale distingue nettamente lo status del rifugiato dallo status del migrante. Mentre la sovranità degli Stati conosce limiti importanti e consolidati rispetto all’accoglienza e all’ integrazione/inclusione dei rifugiati, il trattamento dei migranti è ancora largamente rimesso alle scelte discrezionali degli Stati. Solo il corpus juris generale dei diritti dell’uomo (i due Patti delle Nazioni Unite del 1966 sui diritti civili e politici e sui diritti economici e sociali, Convenzione europea dei diritti dell’uomo del 1950 e Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000) trova applicazione ad entrambe le categorie, essendo focalizzato sull’individuo in quanto tale. Ida Caracciolo
L’integrazione di richiedenti asilo e rifugiati è un processo graduale, complesso che investe diversi ambiti: economico, legale, sociale, culturale. Per questo il Centro Astalli realizza progetti di accompagnamento sociale e di sensibilizzazione culturale. Fin dal primo giorno di accoglienza si lavora con i rifugiati per migliorare le loro opportunità di inclusione e per combattere razzismo e xenofobia. Un percorso che richiede tempo, impegno, creatività e visione. Donatella Parisi
Di fronte alle guerre e ai naufragi nel Mediterraneo, la Comunità di Sant’Egidio ha realizzato, in collaborazione con le Chiese protestanti italiane e la CEI, i corridoi umanitari. Il progetto, basato interamente sulla società civile e replicato anche in Francia e Belgio, ha già permesso a oltre 6mila rifugiati vulnerabili di raggiungere l’Europa in sicurezza, divenendo un modello di integrazione: infatti chi è stato accolto ha imparato subito la lingua e trovato un lavoro. I corridoi umanitari hanno inaugurato una narrazione diversa dell’immigrazione, sottraendo questo fenomeno epocale alla strumentalizzazione e alla paura. Massimiliano Signifredi
Continuiamo a preoccuparci delle conseguenze dei flussi mentre è in atto una costante spersonalizzazione del migrante. I governi europei sono sempre più spaccati sul tema, 8 Stati membri sono arrivati a chiedere di rivedere il diritto d’asilo, considerato un push factor per chi tenta di arrivare in Europa sperando in una vita migliore, con il rischio di chiudersi sempre più in una “fortezza”. In questo contesto la funzione del reporter è fondamentale per dare forma a migliaia di vite umane che rischiano di restare solo ombre senza anima. Angela Caponnetto
L’impegno per un giornalismo di qualità che restituisca la complessità della realtà delle migrazioni e aiuti a comprendere le interdipendenze e le dinamiche internazionali oltre che italiane. Alla luce del X Rapporto dell'Associazione Carta di Roma e delle parole del suo presidente Valerio Cataldi, per il quale "in questi dieci anni si è consolidata la ‘macchina della paura’, che inizia in primavera con l’allarme di ‘un milione di persone pronte a partire dalle coste della Libia’ e prosegue con la conta degli arrivi nei porti italiani. Una dinamica ansiogena, uno stillicidio di numeri che suscita ansia e produce paura. Là dove la realtà, la vita vera, la verità sostanziale dei fatti sono un’altra cosa". Anna Meli
“Emergenza”, “accoglienza indiscriminata”, “invasione”. Quali termini usiamo per parlare di immigrazione? Quanto le parole che scegliamo sono aderenti alla realtà? Siamo in grado di contestualizzare davvero i fenomeni migratori che interessano il nostro Paese e l’Europa? Abbiamo a che fare con una narrazione spesso distorta dell’immigrazione. E sul doppio standard di protezione, accoglienza e narrazione tra i flussi migratori diversi: in particolare tra gli arrivi dal Mediterraneo o dalla rotta balcanica e il flusso straordinario di rifugiati dall’Ucraina. Eleonora Camilli
Arrivano da Paesi vicini, fuggono da guerre che angosciano anche noi. A loro, agli immigrati, ci siamo in qualche modo abituati. Li consideriamo soprattutto per la loro utilità, al di là dei rischi che comportano e delle paure che suscitano. Chi prima ne faceva un uso strumentale a fini elettorali o di propaganda, ora deve ricorrere ad altri argomenti e inventare nuovi spauracchi. Gli immigrati non più come “altri da noi” ma “altri tra noi”, da “integrare”. Le crisi umanitarie, insieme allo sciacallaggio, accendono la pietà e risvegliano la solidarietà dei popoli che nelle disgrazie danno il meglio di sé. Antonino Piccione
Sezione: